Il "brain rot" è un termine recente che descrive un deterioramento mentale causato da un consumo eccessivo di contenuti online considerati banali, ripetitivi o senza valore, come video brevi e meme. Letteralmente tradotto come "marciume cerebrale", il fenomeno è correlato a una perdita di concentrazione e capacità di pensiero critico. È un concetto diventato molto popolare sui social media per descrivere la sensazione di stanchezza mentale generata dal consumo passivo e continuo di contenuti di bassa qualità. Il termine è stato reso popolare di recente dai linguisti di Oxford, che lo hanno eletto "parola dell'anno", anche se la sua origine risale alla metà del XIX secolo, quando fu usato da Henry David Thoreau per criticare la svalutazione delle idee complesse in favore di quelle semplici. Contenuti tipici includono video assurdi e generati dall'intelligenza artificiale, meme, contenuti ripetitivi e stimoli visivi e sonori caotici. Tra i sintomi: Difficoltà di concentrazione, problemi di memoria a breve termine, incapacità di seguire un ragionamento complesso e una generale atrofia del pensiero critico. Gli algoritmi dei social media favoriscono la fruizione continua di questi contenuti, creando un ciclo di dipendenza e incoraggiando la loro produzione.
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Marcello sta sempre col telefono in mano, sembra uno zombie, ma io lo amo.
Suo padre, ogni tanto ci prova a parlare, "Marcé, ma che stai a guardà? Ancora con Tung Tung Tung Sahur?”
Io non sono fissata epperò Tung Tung Tung Sahur me lo guardo e canto pure io. Non c'ha senso, è il suono che fa il tuo cervello mentre si scioglie e cola dalle orecchie.
A mia madre gliel'ho detto: sono creature generate dall'intelligenza artificiale, metà animali e metà cartoni animati. E combattono battaglie senza senso. Come noi.
Mia sorella piccola ride istericamente. Il cervello si adatta a non dover pensare. Un adattamento di merda, non c'è che dire.
Suppongo che non ci sia nulla di male ad avere la testa vuota, purché tu sia felice di tenerla così.
Il fatto è quando dobbiamo leggere roba seria, roba di scuola, non ci capiamo niente. Epica sembra una lingua straniera, ma noi le materie le studiamo su video di trenta secondi, con 3 video hai studiato e prendi la sufficienza tanto i prof sono disperati e pure loro ho visto che stanno sui social.
Salve, sono il padre di Marcello. Lo guardo e penso: "Mio figlio è posseduto!". Ma poi, io stesso, la sera, scrollo notizie deprimenti sul mio telefono e come svitare viti difficili o come mandare via la pancia in 3 settimane. È un altro tipo di marciume, Marcè, ma sempre marciume è! Almeno Marcello ride.
Il vero brain rot non è nei ragazzi. Il vero brain rot è nel genitore che compra al figlio lo smartphone iperconnesso per farlo stare buono e poi si lamenta che è iperconnesso.
Più Marcello consumava contenuti "vuoti", più si sentiva pieno, parte di una tribù. Più suo padre consumava contenuti "seri", più si sentiva vuoto e impotente.
Il cervello di Marcello marciva per eccesso di dopamina. Quello di suo padre per carenza di senso. Chi è più marcio? Accetti la sfida?
La madre, intanto, donna pratica, passava tra loro come un fantasma benevolo, lasciando piatti di biscotti e lanciando occhiate che avrebbero potuto congelare l'acqua calda. Nel suo mondo, il cervello serviva per ricordare dove aveva messo le chiavi, non per interrogarsi sul significato cosmico di "Trallallero Trallallà". Gli psicofarmaci fanno anche questo.
La loro era una guerra di estinzione generazionale condotta attraverso microfoni spenti e schermi luminosi. Il padre, rappresentava l'ansia logorroica della vecchia intellighenzia. Marcello, l'afasia beata della nuova.
Chi vince? In questo scontro, non c'è vincitore. C'è solo l'espansione del deserto. Il padre è solo. Il figlio, in mezzo a migliaia di like, è solo. L'unica differenza è che il figlio ha dei mostri digitali con cui giocare.
Ma, devo ammettere, suo padre ci prova a parlare:
“Marcè…dillo a papà…cosa ci trovi?”
“È divertente…mi piace”
“Ma non significa nulla.”
“E allora?”
Silenzio.
Il "brain rot"! La nuova, ecologica dipendenza a zero emissioni di pensiero. Il cervello non si spegne, va in standby, come un computer che mostra un salvaschermo di stupidità.
Dicono che è alla moda a scuola brain rot, chi non lo recita è fuori. È il nichilismo passivo, consegnato a domicilio dall'algoritmo. Con la risata in scatola inclusa.
Tutta questa farsa per una pubertà ipnotizzata da luci colorate. È la risposta a un mondo che ha rubato loro il futuro. Che lavoro li aspetta? Che prospettive hanno? Il loro "marciume" è l'unico rifugio da un marciume sociale più grande, che li vuole consumatori apatici e non cittadini pensanti.
Avevano paura. Del futuro, del vuoto, l'uno dell'altro. Lui guardava i suoi video. Il padre scorreva i suoi editoriali profondi sul declino del mondo. A volte, a cena, le posate facevano rumore sul piatto.
Marcello cerca ancoraggi in comunità virtuali effimere. Suo padre si aggrappa al relitto di una cultura che non esiste più. Entrambi naufraghi. Le certezze che cercano si dissolvono nello schermo.
Non era il cervello che marciva. Era qualcos'altro. Una mancanza. Il padre non riusciva a entrare nella stanza del figlio, non realmente. E il figlio non voleva uscirne. Era un caso irrisolto: un delitto dell'anima, senza cadavere.
La società dei consumi vende anche la ribellione. La ribellione di Marcello è confezionata, preconfezionata, con l'hashtag. È la non-appartenenza come ultimo prodotto di moda. Il vero atto sovversivo, oggi, sarebbe leggere un libro in silenzio.
Tuttavia, vince l'attrazione per il non senso, tanto funzionale al sistema. È l'oppio dei giovani. Mentre cercano significato in "Skibidi Toilet", i veri "skibidi" -le strutture di potere, le disuguaglianze, le crisi ambientali- agiscono indisturbati. È una fabbrica di consenso attraverso la distrazione di massa.
L'orrore del padre non è per la mancanza di senso, ma per un senso diverso, che lui non possiede. La lotta non è tra senso e non senso, ma tra due immaginari che non si parlano.
In quel silenzio tra padre e figlio, ho sentito l'eco di tutti i silenzi, di tutte le separazioni dettate dall'incomprensione quotidiana. Un dolore normale, che non fa notizia.
Il padre. Il figlio. La stanza. Il telefono. Poche parole. Molta distanza. Si scrive. Non si parla.
Di fronte a un universo indifferente e alla responsabilità di costruire il proprio significato, molti trovano sollievo nell'abdicare al pensiero critico.
Poi arrivò una sera in cui entrambi impararono, senza saperlo, che a volte la persona più lontana è quella che ti siede di fronte.
L'ha spiegato anche la prof. di Storia dell'Arte: Sentendosi inferiori e impotenti in un mondo complesso, scelgono un territorio dove sono esperti, dove dettano loro le regole. È una compensazione per una percepita inferiorità sociale e generazionale. L'Essere ha fame di miti, di mostri, di archetipi. Se non li trova nell'arte o nella letteratura, li cerca nelle fogne digitali di "Skibidi Toilet". Il loro errore non è la ricerca, è la qualità del cibo per l'anima. Spetta a noi offrire banchetti migliori, non biasimare la loro fame.
Il vecchio diceva "segui me diventa così". Ormai i bambini crescono in forma di reel, disegnati da un algoritmo fedele.
Il telefono è un asteroide che gira veloce, pieno di facce storte e di una voce che fa "Tung Tung Tung" nel buio della stanza, mentre fuori il mondo, è l'ora di rimandare e della dimenticanza.
In questa notte un po' sfatta, dove il cervello naufragato si squaglia come burro in padella, condito con un meme assurdo, una risata che scoppia senza un perché, nell'attesa di un "like" che è un "ci sono, vedi? Esisto!"
Forse, domani, da questo marciume nascerà un fiore dal gambo un po' sghembo. Forse, da questo vuoto, qualcosa verrà. Intanto, bambino mio, non smettere di cercare. Cerca anche qui.
(A. Battantier, Memorie di un adolescente, Memorie di un bambino, Memorie di un amore, Mip Lab)
#MIPLab
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#memoriediunadolescente
#memoriediunbambino


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