12 nov. 2025

CECCHINI A SARAJEVO PER SAFARI DEL WEEK END, LO 007 BOSNIACO: IL SISMI SAPEVA (Pagavano di più per un bambino)

Sapeva. Una parola corta, che sembra non dire niente. "Sapeva". Invece contiene tutto il male del mondo. È come un buco nero, quella parola. Ci butti dentro la vergogna, l'indifferenza, la burocrazia, e sparisce tutto. Non fa più rumore.

E poi questa altra parola: "Safari". Era un'operazione. Partivi il venerdì da Milano, da Torino. Prendevi l'aereo, l'elicottero. E andavi a caccia.

A caccia di donne. Di bambini. Di gente che cercava di attraversare la strada con un pezzo di pane in mano. E tu, bel signore, imprenditore, medico, appassionato di armi, pagavi per avere il permesso di guardare in un mirino e togliere il respiro a una persona. Per sentire il contraccolpo del fucile sulla spalla. Per avere un brivido. Un brivido che a casa tua, al poligono di tiro, non ti bastava.

Che razza di follia è? Ammazzavano per gioco. Per noia. Perché la loro vita era così piatta, così vuota, che l'unico modo per sentirsi vivi era guardare qualcuno morire.

Altro che “banalità del male". Qui il male non è per niente banale. Qui è prenotato, organizzato. Ha un volo di andata e ritorno. Il male ha la tessera del poligono di tiro e si mescola a chi porta gli aiuti umanitari.

Questo è il colmo. Lo stesso furgone che porta le medicine e i viveri, portava anche lui, il cecchino del weekend.

Come si fa? Come si fa a vivere così, con questa doppiezza addosso?
Il Sismi, i servizi, sapevano. Hanno "interrotto l'operazione". Ma i nomi chi li ha? Dov'è questo documento? È tutto sepolto in un cassetto, sotto la polvere e la vergogna. Perché la verità fa male, disturba. Rompe i giochi, gli equilibri.

Questi "cacciatori" avevano una famiglia? Baciavano i loro figli la sera prima di partire? Probabilmente sì.

È questo il punto. Il male non è una cosa astratta, non è un mostro che viene da un altro pianeta. È il tuo vicino di casa con la passione per le armi. È un uomo normale che, in un contesto dove tutto è permesso, dove la guerra cancella le regole, scopre una pulsione oscura. E ci si tuffa dentro. E paga pure per farlo.

Pagavano di più per un bambino. Lo dice l'articolo. Per un bambino si pagava di più. Perché? Forse perché è più difficile? Perché è un bersaglio più piccolo? O perché spezzare quella vita così presto, così innocente, dà un brivido più forte? Un brivido che vale più soldi.

Mi viene in mente una scena. Un uomo, solo, che corre in una strada di Sarajevo. I cecchini dalle colline gli sparano. Lui salta, cerca di schivare i colpi. È come una marionetta i cui fili sono in mano a un dio pazzo e crudele. Forse, in quel momento, uno di quei fili era nelle mani di un italiano. Di un uomo che era partito da Milano due giorni prima, con la stessa eccitazione di quando vai a sciare.

La normalità del male. Il biglietto aereo, il taxi per l'aeroporto, il pranzo al sacco. E nel ritorno, il silenzio. I segreti. La complicità di chi sapeva e ha taciuto.

Ora la procura di Milano indaga. Bene. Ma io mi chiedo: che giustizia puoi fare per un bambino ucciso per noia? Quale carcere può essere abbastanza? Quale condanna può ripulire l'anima di chi ha organizzato, di chi ha sparato, di chi ha girato la testa?

Forse non esiste una punizione. Forse l'unica giustizia è non dimenticare. È leggere questo articolo con le lacrime agli occhi e la rabbia in gola. È obbligarci a guardare in quell'abisso, anche se ci fa male. Perché se smettiamo di guardare, se permettiamo che tutto venga di nuovo sepolto, allora siamo come loro. Gente che, in un modo o nell'altro, ha accettato che il prezzo di una vita umana sia quello di un biglietto per un safari.

(A. Battantier, Italien Néandertalien, Frammenti per l’Apocalisse, Mip Lab, 11/25)


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